Innovazione? Ma di cosa stiamo parlando?!
Viviamo un momento storico nel quale, complice anche la crisi, si intuisce in maniera diffusa che per andare avanti, per superare uno stato di cose che non è più in grado di garantirci un futuro, occorre cambiare il nostro modo fare e pensare, occorre INNOVARE.
L’intuizione è diffusa, la comunicazione e la politica lo ripetono in modo insistente, se però provate a chiedere ad un imprenditore, ad un manager o ad un dirigente di un ente pubblico cosa questo possa significare per la sua realtà, spesso otterrete risposte tentennanti o la ripetizione formule o di luoghi comuni che collocano l’innovazione ancora lontano dalle strategie che contano nell’impresa.
E’ questa superficialità nel concepire il significato stesso dell’innovazione che porta tante aziende o enti pubblici a sposare e ad investire in progetti che finiscono per deludere, non riuscendo a dimostrarsi capaci di fare progredire in modo concreto il loro “core business”.
Il più facile e diffuso inganno in questo momento storico è il fare coincidere l’innovazione con l’ammodernamento tecnologico: come se bastasse distribuire degli iPad ai manager di un’impresa perché questi comincino a pensare in modo innovativo! Così capita di sentire parlare di progetti di dematerializzazione di documenti, di virtualizzazione di servizi o di nuove soluzioni per dispositivi mobili, senza che a queste iniziative corrisponda un’analisi e una strategia chiara a riguardo del cambiamento che questi nuovi paradigmi, promossi dall’innovazione tecnologica, possano tradursi in innovazione, ovvero in nuove efficienze, nell’azienda o nell’ente che li promuove.
Cosa significa dunque innovare? Com’è possibile diventare (e rimanere!) innovativi?
Il tema è complesso e vasto; la riflessione su questo tema è una riflessione planetaria che lungi dall’aver raggiunto delle conclusioni.
In questo articolo, senza alcuna pretesa di esaustività, ci preme proporre alcuni punti fermi a riguardo del tema dell’innovazione che abbiamo conquistato attraverso la nostra esperienza in azienda e nell’attività di consulenza rivolta ad importanti imprese e complessi enti pubblici.
[dropcap style=”default, circle, box, book”]L'[/dropcap]innovazione è semplice e democratica
In un certo immaginario comune l’innovazione è una cosa complicata, per pochi eletti. Se è vero che esiste un certo tipo di innovazione fatta di tecniche sofisticate, realizzabile soltanto con grandi investimenti, è altrettanto vero che è possibile fare vera e propria innovazione attraverso intuizioni semplici, capaci di produrre nuove efficienze.
Osservando, interrogandoci e sperimentando modi diversi, più efficienti di rispondere a quello che l’esperienza quotidiana ci sollecita facciamo innovazione.
Quando riusciamo a rendere più fluida la comunicazione tra due reparti della nostra impresa, quando troviamo un nuovo modo per realizzare una lavorazione capace di un minor consumo di energia o di migliorare la sicurezza dei lavoratori coinvolti, quando progettiamo e realizziamo un’interfaccia utente del nostro software applicativo più semplice ed intuitiva da usare, stiamo -decisamente- innovando.
E’ tanto vera questa dinamica come motore di innovazione che, anche all’origine delle innovazioni più complesse da realizzarsi, di frequente si riscontra una intuizione semplice ed originale a riguardo del problema da risolvere.
[dropcap style=”default, circle, box, book”]L[/dropcap]e persone sono lo “starting point” dell‘innovazione
Se è vero che per fare innovazione di successo occorrono molti altri fattori concomitanti (ad es. gestionali, economici e tecnologici), il punto sorgivo dell’innovazione sono le persone.
Innovare è un’attività peculiare dell’uomo, frutto di un’esigenza innata di contribuire al “volgere al meglio” della realtà che lo circonda. In azienda le persone più innovative si distinguono in quanto le più curiose, le più interessate ad imparare e a migliorarsi per trovare nuove risposte; senza il timore di scoprire i limiti e la perfettibilità del loro tentativo.
Tutti in azienda possono (e debbono) sentirsi chiamati ad innovare. Magari non tutti hanno gli strumenti per rendere effettiva l’innovazione, ma tutti, vivendo la quotidianità del lavoro, sono -come minimo- potenziali portatori di bisogni (interni o dei clienti), di opportunità che domandano risposte nuove.
[dropcap style=”default, circle, box, book”]O[/dropcap]ccorre un contesto accogliente per chi innova
Se è vero che non è necessario che sia chi guida l’impresa il miglior innovatore, è senz’altro necessario che chi guida sia consapevole del valore dell’innovazione e operi per favorire e supportare l’innovazione, sapendola riconoscere e valorizzare, mantenendo viva la dimensione di “sogno” che deve rimanere aria che si respira in azienda, anche quando le aziende crescono, si strutturano e, magari, vengono quotate in borsa.
Valorizzare chi innova non significa anzitutto (anche, ma non anzitutto!) premiare l’innovazione con riconoscimenti economici: lavorare in una azienda che innova e che stimola le persone all’innovazione, in quanto ha a che fare con esigenza profonda della vita, è di per se stesso un premio.
Valorizzare l’innovazione significa anzitutto crederci: essere disponibili a metterla nelle strategie prioritarie e scommetterci a livello di “core business”. Occorre stimolarla e accompagnarla con gli investimenti necessari e con tutte le azioni di supporto perché questa non si debba arenare di fronte alle inevitabili resistenze che, proprio perché rappresenta un cambiamento, dovrà incontrare dentro e fuori dall’azienda.
Credere all’innovazione significa anche sapere accettare e gestire i fallimenti che possono verificarsi. Per sua stessa natura il tentativo di fare qualcosa di nuovo è un’azione a rischio; se il tentativo di innovazione, nonostante tutte le possibili e doverose precauzioni che si sono prese, dovesse rivelarsi fallimentare, non va stigmatizzato, va guardato, compreso, condiviso, discusso per comprendere le ragioni del mancato successo e per imparare ad evitare di commettere gli stessi errori. Il protagonista di una innovazione fallita (se ben gestita), è la persona più affidabile dalla quale farsi accompagnare nel prossimo tentativo.
[dropcap style=”default, circle, box, book”]L[/dropcap]’innovazione non può prescindere dalla ricerca di “efficienza”
Ogni tentativo di innovazione imprenditoriale ha in se stesso lo strumento di misura per valutarne l’appropriatezza: ogni impresa così come ogni ente pubblico hanno una missione da compiere e delle condizioni, dei vincoli da rispettare.
Le più grandi innovazioni della storia nascono dalla mancanza non dall’abbondanza, da vincoli stretti non dal poter fare qualunque cosa.
Una azione è innovativa se risponde ad un bisogno producendo efficienza. Nei diversi contesti può trattarsi di efficienza nei costi o una migliore capacità di rispondere al mercato soddisfacendo meglio vecchie o nuove esigenze dei propri clienti o dei propri utenti.
Questa sottolineatura che parrebbe la più scontata, ha a che fare con uno dei fattori di insuccesso più frequenti nei tentativi di innovazione: la difficoltà a trovare una sintesi, un punto di incontro imprescindibile tra “il sogno dell’innovatore” e la realtà, con i suoi vincoli e le sue manifeste esigenze. Ho parlato di sintesi e non di equilibrio perché non si tratta di sacrificare il sogno in virtù di un realismo materiale, quanto piuttosto del fatto che il perseguimento di un sogno di cambiamento astratto dai vincoli della realtà non produce vera innovazione e, presto o tardi, si palesa come gioco insostenibile, al fondo deludente anche per il “sognatore”.