Modello DS56-bis: a proposito dell’arte di complicare la vita ai cittadini con i servizi di e-Goverment
L’importanza dell’e-Goverment per la modernizzazione e la razionalizzazione del rapporto tra pubblica amministrazione, cittadini ed imprese può oggi considerarsi una evidenza acquisita.
Negli ultimi anni, anche in Italia, sono stati fatti importanti investimenti per favorire questa evoluzione. Si potrà discutere sul fatto che siano stati investimenti quantitativamente adeguati, ma qualcosa in questo campo è senz’altro successo.
Se questo “movimento dell’elefante” è oggettivamente constatabile, ed è una cosa senz’altro buona, vale la pena soffermarsi a riflettere sulla qualità ed efficienza degli investimenti fatti.
Non so se vi è capitato di affrontare una pratica presso lo sportello on-line del Registro Imprese o se vi è capitato di utilizzare il portale di INPS o dell’AVCP (solo per citare tre servizi di e-Goverment dei quali ho fatto esperienza diretta negli ultimi mesi); se avete fatto anche solo una di queste esperienze, non serve che vi racconti la frustrazione che si sperimenta ad utilizzare questi servizi. A beneficio di chi non ha presente esperienze di questo genere propongo un aneddoto di vita vissuta.
Avendo assunto una collaboratrice domestica per accudire la mia anziana madre, la stessa collaboratrice ha avuto la necessità di segnalare ad INPS il fatto che il suo periodo disoccupazione si doveva considerare concluso ai fini di un certo beneficio precedentemente richiesto. La badante aveva già il PIN per il servizio online (questa domanda si può fare SOLO online) e ci ha chiesto un aiuto per fare questa “semplice” operazione. Semplice!? Provateci voi se ci riuscite.
Dopo un quarto d’ora di ricerca tra le innumerevoli voci di menù dei servizi online INPS (la maggior parte dei quali non rilevanti per il profilo dell’utente particolare) ci siamo rassegnati a chiamare il call center. Un operatore al telefono ci ha gentilmente spiegato che la funzione ricercata si trova in una form raggiungibile attraverso questo percorso:
- menù di primo livello: “Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito”
- menù di secondo livello: “ASPI, disoccupazione, mobilità e trattamento speciale edilizia”
- menù di terzo livello: “Modello DS56-bis”
- menù di quarto livello: “Consultazione domande”
Direi che non occorrono commenti! Questo ed altri esempi fanno sorgere inevitabilmente una domanda: cos’è che non funziona all’interno dei processi che conducono a risultati del genere?
Di sicuro non si tratta di problematiche spiegabili con progetti gestiti in ristrettezza economica o con fornitori -quantomeno sulla carta- non qualificati. Vedo piuttosto due ordini di problemi, in definitiva, strettamente collegati.
1) Chi progetta e realizza questi servizi online dimostra di non avere la minima idea del tipo di utenti che dovrebbero in effetti utilizzarlo
Qualunque servizio di qualità è costruito mettendo al centro il suo potenziale utente. I servizio on-line non fanno eccezione a questa regola. La maggior parte dei servizi di e-Goverment italiani è progettato per consentire il raggiungimento di un risultato ad utenti che conoscono il problema da un punto di vista normativo e sanno già come affrontarlo con strumenti tradizionali. Peccato che i servizi di e-Goverment nascono con un obiettivo molto diverso. I servizi di e-Goverment hanno senso soltanto se consentono di eliminare almeno un livello di intermediazione. Perché ciò possa accadere la chiarezza e il livello di usabilità del servizio online è cruciale!
Nel “mondo reale”, quello dove la soddisfazione dei clienti determina la vita o la morte di un progetto on-line e a volte la sopravvivenza o il fallimento di un tentativo imprenditoriale, non è ritenuto sufficiente neanche il fatto che l’utente riesca facilmente a fare quello che vuole fare con un servizio online, l’obiettivo, sopratutto quando si tratta di progetti rivolti ad un pubblico consumer, deve essere quello che l’utente provi gusto, soddisfazione nell’utilizzare quel servizio.
Ci sono trattati di teoria e di esperienza per imparare ad operare nel “mondo reale” della progettazione e sviluppo di servizio on-line. Mi limito in questa sede ad un semplice consiglio. Provate a coinvolgere gli analisti e gli sviluppatori di questi servizi, almeno qualche ora alla settimana, facendo fare loro i servizi telefonici di supporto agli utenti che tentano di trarre utilità dal loro lavoro. Un miglioramento dei risultati è garantito: a nessuna persona sana di mente piace sentirsi bombardata, senza filtri, dall’evidenza che il proprio lavoro genera frustrazione e disagio ad altri che viceversa dovrebbero beneficiarne. E’ una esperienza insopportabile! Vedrete accadere dinamiche di responsabilizzazione ed attenzione al lavoro inimmaginabili a priori.
2) Nella P.A. italiana manca la cultura della responsabilità del risultato
Se ci fermassimo qui potremmo concludere che la colpa è dei fornitori, sono state fatte selezioni errate. In parte può essere vero, ma, ritengo, non nella maggior parte.
Tranne rare e virtuose eccezioni, i fornitori tendono ad adeguarsi a quanto viene loro richiesto, nel bene e nel male. La responsabilità di fissare gli obiettivi e di controllare che vengano raggiunti, applicando manovre correttive se e quando necessario, è sempre del committente.
Nella P.A. italiana manca diffusamente la cultura della misura degli effetti degli investimenti e della responsabilità conseguente. Qualunque manager del “mondo reale” se promuove un investimento viene misurato sul ritorno quantificabile dello stesso e premiato o punito in modo conseguente.
Nel modo dei servizi online la quantificazione dei risultati è facile ed immediata ma nonostante questo non mi è mai capitato di sentire, nei tanti convegni di presentazione di progetti online che hanno comportato ingenti investimenti pubblici, dati statistici sulla soddisfazione degli utenti o analisi che potessero documentare risparmi tangibili conseguenti all’investimento.
Tentando di essere fornitori attenti al problema, partner degli Enti, desiderosi che il nostro lavoro produca valore, offriamo il nostro quotidiano contributo per vincere questa sfida. Come ogni sfida che si situa a livello culturale, non si vince da soli, richiede tempo e un coinvolgimento diffuso ed indefesso di tutti quanti possono e vogliono fare bene per se stessi e per il Paese in cui viviamo. Noi ci siamo! E voi?